Si è da poco conclusa la prima edizione del bando “UN CONTRIBUTO PER IL DIRITTO ALLA SALUTE PSICOLOGICA – PRIMA EDIZIONE, ANNO 2023”. L’iniziativa nata dall’Aps Psicoterapia Aperta, ha assegnato il secondo posto allo scritto di Matteo Lima.
La tematica del bando era la seguente:
“Psicologia, Psicologia Clinica e Psicoterapia nel contesto italiano, sfide e opportunità dopo la pandemia. Proposte pratiche e analisi critiche su conseguenze e implicazioni sanitarie, sociali, economiche ed etiche dell’impatto dei dispositivi di cura tradizionali e/o digitali e della loro funzione sociale.”
Riportiamo qui di seguito il contributo in questione.
Verso un’ecologia della salute mentale e sociale
“Quale struttura connette il granchio con l’aragosta,
l’orchidea con la primula
e tutti e quattro con me? E me con voi?
E tutti e sei noi con l’ameba da una parte
e con lo schizofrenico dall’altra?”
(Gregory Bateson, 1984)
Matteo Lima
Il contesto post-pandemico
La pandemia di Covid-19, la paura del virus e le misure di contenimento che ne sono
conseguite, hanno evidenziato e portato alla luce diversi problemi da tempo soggiacenti nelle dinamiche sociali. Come scrive Marco Rovelli (2023, p. 10) “il tempo della pandemia è un’accelerazione di processi di lunga durata. Che riguardano il nostro modo di abitare il mondo”. Tra questi, un vero e proprio elefante nella stanza indicato e svelato dal contesto pandemico è la crisi del sistema sanitario pubblico e la mancanza di un welfare sociale garantito e accessibile, in grado di rispondere alle esigenze e ai bisogni della popolazione.
Se, per il contesto medico e sanitario, si è reso evidente come il progressivo impoverimento del sistema pubblico abbia portato all’ampliamento della forbice tra il bisogno e la risposta, rispetto ai dispositivi di cura del benessere psicologico il contesto pandemico ha evidenziato la pachidermica e strutturale carenza della risposta pubblica. Carenza che risulta ormai impossibile da ignorare, considerando anche l’aumento del malessere psicologico diffuso in seguito alla pandemia, per molteplici motivi e su differenti livelli. Da una parte la paura del virus stesso – intesa come paura per la sopravvivenza del sistema individuo e dei propri cari – ha fortemente stressato il benessere della popolazione, unitamente alla paura della sostenibilità individuale e familiare dato dall’impoverimento del contesto economico. Ancora più rilevante è ciò che è accaduto a livello relazionale: le misure di contenimento volte ad una contrazione della socialità, unite alla diffusione di ansia e paura che “l’altro” potesse essere pericoloso e potenzialmente portatore di malessere, hanno inasprito il “distanziamento emotivo ed affettivo” già in essere a causa dell’individualismo e della competitività insite nella società neoliberista (Rovelli, 2023).
Tutto ciò si inserisce in un contesto “social-e” già fortemente connotato da un crescente “effetto di polarizzazione” (The Social Dilemma, 2020), che lascia poco spazio alle argomentazioni complesse, all’ascolto dell’altro e alla differenza che genera nuova “conoscenza” (Bateson, 1977). Purtroppo anche la narrativa “bellica” utilizzata dal governo e dai media – bollettini giornalieri con i numeri delle vittime, la retorica del virus da sconfiggere, … – ha contribuito anch’essa ad aumentare quei sentimenti di paura ed ansia (Sbattella, 2009).
Tuttavia possiamo anche affermare che il contesto pandemico, con il suo significativo impatto sui nostri ritmi e stili di vita, è stata un’esperienza di apprendimento collettivo, con alcuni elementi che, più di altri, sarebbe auspicabile trattenere: innanzitutto il tornare a sentire il bisogno della socialità e della prossimità fisica e corporea dai propri cari e, in generale, dagli altri esseri umani; la possibilità specialmente nella fase del lockdown – di rallentare da quel ritmo frenetico in cui molti esseri umani
sono immersi nella nostra società. Collegato a ciò, la situazione extra-ordinaria pandemica ha legittimato nuove dinamiche relazionali all’interno delle famiglie ad esempio, talvolta, la messa in discussione dei ruoli di genere tradizionali.
La sfida oggi sarebbe quella di fare tesoro di quanto successo, ma la tendenza osservabile è purtroppo un rapido ritorno a quello stile di vita competitivo e frenetico in cui “chi si ferma o anche solo rallenta, è perduto”, lo dimostrano anche i livelli di sintomi depressivi e ansiosi, e l’aumento vertiginoso dell’utilizzo di psicofarmaci (dati AIFA). Il ricorso allo smart-working, spesso inteso e valorizzato come possibilità per meglio conciliare lavoro e vita privata, se non controllato può assumere altri
significati. Nella clinica si riscontrano diversi casi di persone che, nella destrutturazione del lavoro da casa e nel non avere orari fissi si ritrova in una frenetica iper-reperibilità: “rimpiango il tempo trascorso sui mezzi per gli spostamenti casa-lavoro e leggermi un libro”, o ancora “ormai non ho più il tempo per fare due chiacchiere leggere con le colleghe” come occasione per rallentare.
Cosa è cambiato per *Noi ?
Alla luce di quanto sopra analizzato, cosa ha generato questo cambio di cornice contestuale per la nostra categoria? Sicuramente si è assistito ad una maggiore consapevolezza e legittimazione sociale nel prendersi cura di sé e del proprio benessere psicologico, con un conseguente aumento delle richieste di presa in carico, soprattutto spontanee, sia nell’ambito pubblico che in quello privato, con la progressiva erosione di falsi miti e pregiudizi, come “dagli psicologi ci vanno i matti”.
La pandemia ha inoltre sdoganato l’accesso alla modalità del setting da remoto/on-line, che nella pratica psicoterapeutica prima della pandemia da molti del *Noi era considerata pratica poco ortodossa, per altri addirittura eretica, sicuramente poco efficace poiché considerata nelle mancanze relazionali del virtuale rispetto al reale. Ad oggi risulta una pratica ampiamente diffusa, e può diventare non solo vincolo ma anche risorsa terapeutica, cambiando paradigma epistemologico, e domandandoci non tanto quanto si possa trovare di “reale” nella dimensione del “virtuale”, ma
piuttosto quanto il virtuale faccia parte della nostra pratica clinica nel “reale” (Giuliani, 2019). Ma tornando alla questione del ritmo di vita, anche *Noi stessi dovremmo fare tesoro dell’aver sperimentato una qualità del tempo differente, sia rispetto al bilanciamento tra vita privata e sfera lavorativa, ma soprattutto dovrebbe essere questa occasione per dedicare maggiore attenzione nel riflettere e osservare la società e il nostro ruolo sociale poiché, come già detto, la pandemia ha ancor più palesato l’elefante: l’individuo soffre all’interno di una società sofferente (D’Elia, 2020).
Qualcosa deve cambiare, ma…
Tante delle risposte e soluzioni cercate, dal mio punto di vista, non vanno nella direzione sperata. Il bonus psicologo messo in campo dal governo italiano, nei fatti – consultando i dati quantitativi di richiesta e disponibilità economica messa in campo – si è dimostrata una misura totalmente insufficiente, offrendo però un ulteriore dato che la sofferenza mentale e sociale c’è, ed è di dimensioni pachidermiche: ora è visibile se non a tutti, sicuramente a molti.
La situazione sopra descritta di mancanza di risposta da parte del servizio pubblico, la crescente domanda e le nuove possibilità e modalità di interventi di cura da remoto hanno favorito il proliferare di aziende e società private profit, che – sotto forma di cliniche in franchising o come piattaforme che operano prettamente online – muovono freneticamente il mercato. Questa modalità di risposta paradossalmente riporta ad uno dei co-fattori per cui si crea il malessere, ovvero il ritmo frenetico competitivo e divisivo, ponendo *Noi a fare a gara a chi è più o meno bravo ad attirare clienti e non
a rispondere a richieste di aiuto; questo può accadere sia dentro a questi sistemi di profit, che nell’individualità dell’attività privata nel proprio studio, se manca quella dimensione del *Noi sociale, che potremmo definire lo psicoterapeuta sociale in azione (D’Elia, 2020).
Questo tipo di soluzioni quindi non rientrano in una risposta ecologica e sostenibile, secondo un concetto armonico di benessere del sistema e dei suoi elementi (Bateson, 1984), né per il paziente né per il clinico: si sostengono infatti attraverso lo “sfruttamento” delle/dei giovani *Noi , che con compensi orari ribassati e la scarsa presenza di spazi di deutero-apprendimento devono sostenere alti numeri di colloqui e sedute, con un conseguente impoverimento della qualità del dispositivo di cura.
Purtroppo però, le scarse possibilità di impiego che il servizio pubblico offre, rendono tutto ciò di sovente una scelta obbligata per i *Noi che si affacciano alla professione. Inoltre anche i e le *Noi che lavorano dentro i servizi pubblici, seppur meglio retribuiti, sempre meno hanno la possibilità di lavorare sull’auto-osservazione e sul deutero-apprendimento, dovendo spesso gestire un alto numero di accessi con poche risorse interne.
La sfida di un *Noi collaborativo…
E quindi la soluzione va cercata attuando intanto un cambio di prospettiva: riprendendo la questione del pachiderma, la cura del malessere va sempre considerata nella sua interezza e complessità: salute mentale e salute sociale. Non basta più prenderci cura di chi abbiamo davanti e chiede aiuto, ma dobbiamo prenderci cura di tutto ciò che ci sta intorno, ambiente, polis e soggetti che lo abitano (Vinci, 2022). È anche necessario un cambio di approccio, in primis centrato maggiormente sulla sostenibilità della psicoterapia e con la proposta di una risposta che tenga conto
del contesto socio-economico-culturale del paziente; e questo possiamo farlo considerandoci sempre, quindi anche all’interno della nostra attività privata, consulenti al servizio della comunità e non del singolo (Longhi, 2009). Diventa quindi basilare utilizzare pratiche collaborative e dialoganti: con i servizi pubblici, nel privato sociale no-profit, con altre figure professionali, ecc…
Questo cambiamento è in atto: ne è testimone negli ultimi anni la nascita spontanea di associazioni, cooperative, gruppi informali e sportelli “dal basso” senza scopo di lucro, ormai radicate nei territori, che propongono interventi clinici sulla base di concetti quali l’accessibilità, la sostenibilità e l’equità, sia per il/la paziente che per il/la terapeuta. Queste realtà associative stanno creando micro-sistemi virtuosi che hanno un impatto sociale e sanitario tangibile sul territorio. Questi tipi di risposte sono
sempre più diffuse, ispirate anche da realtà ormai significative, come “Psicoterapia Aperta” che è stata tra le prime associazioni spontanee a nascere, proprio come spazio di dialogo, aperto sia per *Noi che per un noi più ampio, che comprenda non solo professionisti, ma anche coloro che hanno vissuto o stanno vivendo la sofferenza dall’altra parte del continuum di cura. La pagina di Psicoterapia Aperta (vedi riferimenti) dalla sua nascita ha visto migliaia di iscritti in poco tempo, a conferma che
l’interesse e il bisogno diffuso di spazi di ascolto, confronto e aiuto siano il nodo centrale da cui ripartire: un senso nuovo di comunità, in senso ampio. Per farlo c’è bisogno di mettere in discussione le nostre premesse, perché è attraverso la riflessività – uno strumento per agire in maniera etica ed estetica – che possiamo innescare un cambiamento (Barbetta & Telfner, 2019).
Che ne sarà di *Noi?
È qui che giochiamo la grande sfida, scegliendo una via collaborativa e comunitaria e
mostrando che possiamo uscire da una situazione di sofferenza che coinvolge direttamente il *Noi, ancora fortemente diviso. Queste realtà no-profit e le/i professionisti sparse e spesso isolate, che già hanno preso una direzione fuori da quella logica competitiva neo-liberista, devono connettersi e dialogare, co-costruendo e organizzandosi, facendo rete, sia per migliorare la qualità della pratica clinica, che di-mostrando alla società e alla polis che un paradigma differente di cura è possibile. Per
farlo c’è bisogno di creare una rete ampia e plurale, che unisca queste pluralità virtuose sopra citate: ne è esempio la nascente Rete di Psicoterapia Sociale (vedi riferimenti), che ne ha colto la sfida.
Questo articolo è stato concluso nel giorno della festa per la Liberazione, data che ha significato la fine di una fase conflittuale e divisiva socialmente, lasciando spazio alla costituzione di un sentire democratico, collaborativo e condiviso. L’auspicio è che i sistemi virtuosi e le reti no-profit sopra citate possano sempre più contaminare il *Noi nella mission di supporto per la ri-creazione di un welfare pubblico sanitario e sociale per tutti.
*Noi = inteso come categoria ampia ed eterogenea di professioniste e professionisti della Psicologia, Psicologia clinica, Psicologia sociale e Psicoterapia, che esercitano nel contesto italiano la professione nel sistema pubblico e/o nel privato.
Bibliografia
- Barbetta Pietro & Telfner Umberta, Complessità e psicoterapia, l’eredità di Boscolo e Cecchin, Raffaello Cortina Editore 2019
- Bateson Gregory, Verso un’ecologia della mente, Adelphi edizioni, 1977
- Bateson Gregory, Mente e natura, Adelphi edizioni, 1984
- D’Elia Luigi, La funzione sociale dello psicoterapeuta, Alpes, 2020
- Giuliani Massimo, La terapia online, in Barbetta & Telfner, op. cit., 2019
- Longhi Carlotta, La professione di psicologo di fronte alla sfida della sostenibilità sociale, Rivista online Plexus, 2, 2009
- Rovelli Marco, Soffro dunque siamo, il disagio psichico nella società degli individui, Minimum fax, 2023
- Sbattella Fabio, Manuale di psicologia dell’emergenza, Franco Angeli, 2009
- Vinci Giuseppe, Essere terapeuti: forza e fragilità dello psicoterapeuta e della psicoterapia, Alpes, 2022
Sitografia e riferimenti
- https://www.retepsicoterapiasociale.it/
- https://www.psicoterapia-aperta.it/
- The Social Dilemma, Jeff Orlowski, 2020, Netflix
- Dati di monitoraggio sull’utilizzo dei farmaci durante l’epidemia covid-19, AIFA
- Aumenta il disagio mentale ma diminuiscono gli psicologi. E chi ha bisogno di aiuto deve pagare. Articolo de L’espresso online, Marialaura Iazzetti