Disagio mentale e lavoro
Il lavoro costituisce un elemento cardine del senso di identità dell’uomo nella società di oggi. Dal significato primitivo di mezzo di sostentamento, il lavoro si è trasformato in status sociale fino ad assumere con la regola benedettina dell’ “ora et labora” e soprattutto col Calvinismo, un significato sacro. Il senso identitario si evidenzia nell’abitudine di molti che presentandosi dicono “sono un…” anziché faccio il…”
L’evoluzione della sacralità, però, è degenerata. La società si è trasformata nei secoli e il mezzo è diventato il fine, finché Dio si è trasformato in Dio denaro. Al riconoscimento della dedizione al lavoro come mezzo per conquistare l’aldilà si è sostituita la corsa al profitto, all’accumulo di capitale, al successo e al potere.
Il lavoro nella società mercantile prima, industriale e postindustriale poi, ha spesso sostituito la realizzazione di ambizioni interne, e quindi creatività, valori e tutto ciò che attiene all’area dell’Ideale dell’Io, con la realizzazione di ambizioni esterne e quindi beni di consumo, portando all’alienazione, significativa fonte di perdita di senso esistenziale e quindi di sofferenza psichica. Questi beni di consumo rappresentano spesso bisogni indotti dall’ ideologia di mercato per perpretrare la sua stessa esistenza nel ciclo infinito di produzione-consumo. Questo ciclo è portato al giorno d’oggi all’estremo con il fenomeno dell’obsolescenza preventiva.
Il disagio mentale collegato al lavoro è vasto e vario, ma in questo scritto voglio esaminare solo l’ambito degli infortuni sul lavoro.
C’è da premettere che già il ministro dell’economia del governo Berlusconi, Tremonti, affermó che la legge sulla sicurezza sul lavoro è un lusso che non ci si poteva permettere.
Secondo il DSM 5, il cui valore clinico è giustamente discusso, ma il cui valore medico legale è condiviso, i disturbi correlati a traumi si distinguono in DTPS (Disturbo Post Traumatico da Stress), Acuto e Cronico e il Disturbo dell’Adattamento. Quest’ultimo può esprimersi con sintomi vari ed eterogenei (ansioso depressivi, del comportamento,
somatici, intrusivi ecc.) e da ultimo, meno rilevante perché diagnostica sintomi che si esauriscono entro un mese dal trauma, il Disturbo Acuto da Stress.
Questi sono gli unici disturbi del DSM correlati con una patogenesi, essendo il manuale per definizione di tipo statistico, ateoretico e privo di orientamento eziopatogenetico.
Gli infortuni sul lavoro sono aumentati in questi ultimi anni, nonostante i lavoratori denuncino meno gli infortuni per i motivi che esporrò.
Per necessità di setting e per le finalità di questo scritto, a supporto di questa affermazione non riporterò statistiche ma solo motivazioni generiche strettamente correlate alla mia personale esperienza lavorativa.
Una prima causa dell’ aumento degli infortuni sul lavoro si può trovare nella legge sul subappalto che libera da ogni vincolo di controllo sulla sicurezza le aziende appaltatrici.
Infatti le aziende in subappalto spesso sono piccole e poco interessate al problema della sicurezza. Chi è transitato in esse riporta a volte richieste fattegli dai datori di lavoro di pari mansioni e carichi di lavoro a fronte di tempi ridotti concessi per la loro esecuzione. Ed è la velocità, insieme a ritardi o assenze di manutenzione, che derivano dal dogma imperante di produttività-risparmio di risorse-profitto, che sono responsabili dell’aumento degli infortuni sul lavoro.
In una società che invecchia, poi, una seconda causa è da ricercare nell’aumento dell’etá pensionabile, specie in lavoratori a rischio come quelli dell’edilizia, dell’autotrasporto, ma che attiene anche agli incidenti in itinere o altri infortuni. Questi lavoratori si trovano a dover garantire le stesse prestazioni cognitive (esecutive, di attenzione selettiva e sostenuta ecc. ) e fisiche (orari prolungati, turni, esposizione a pericoli, forza fisica ecc.).
Si possono aggiungere come terza causa alcuni cambiamenti della società: velocità dei ritmi di vita, traffico, violenza e delinquenza ecc. Fra gli infortuni sul lavoro una quota sempre più ampia è legata a rapine e aggressioni, con esiti psichici e
fisici.
Le patologie conseguenti a traumi (non mi piace usare il termine disturbo) possono essere molto invalidanti dal punto di vista psichico, specie quando si accompagnano a postumi fisici, per esempio perdita di un braccio, di una gamba, della vista, dell”udito e infiniti altri, cioè una menomazione che porti ad invalidità permanente, o quando un trauma cranico riduce l’assetto cognitivo o altera profondamente la personalità, oppure quando si assiste alla morte di qualcuno, magari un collega.
Per quanto riguarda la paura di denunciare a cui ho accennato, si può arrivare financo a pressioni delle aziende su eventuali testimoni o pressioni e intimidazioni dirette sull’interessato.
Per questo fenomeno si possono ipotizzare diverse cause. Fra queste la diminuzione della regolarità delle aziende, l’aumento dei contratti a tempo determinato, l’abolizione dell’articolo 18,,. tutte situazioni che portano alla paura di perdere il posto di lavoro. E questo accade in una società in cui ormai anche chi lavora può essere povero.
Per inciso questo quadro dell’attuale condizione lavorativa può essere responsabile anche di abuso di potere da parte dei datori di lavoro ed esprimersi con violenza psicologica fino a produrre malattie professionali come il mobbing. Questo fenomeno trova terreno fertile anche nella fragilità emotiva personologica di alcuni lavoratori, ma poggia soprattutto sul suddetto legame ormai poco libero che lega il lavoratore al datore di lavoro. In conclusione il lavoratore troppo spesso non si vive più nella posizione di diritto, costituzionalmente riconosciuto, ma di accondiscendenza o addirittura di sudditanza e riconoscenza servile nei confronti del datore di lavoro. Così, nel piccolo, il mondo del lavoro si trasforma come si sta trasformando il mondo globale: diviso in potenti e sottomessi, che si tratti di classi sociali, di popoli o di stati.
Simona Zaka